Quando, molto tempo fa, venni a conoscenza del fatto che la maggior parte delle attuali viti piantate in giro per l’Italia (ma anche per la Francia, per l’Europa ecc. ecc.) sono innestate su piede americano, ci rimasi male.

Nato e sempre vissuto in pieno centro storico, di coltivazioni, di campi e di vigne io non ne sapevo nulla (e non ne volevo nemmeno sapere).
Per diversi anni mi sono limitato ad apprezzare i prodotti della Natura e del lavoro dell’uomo senza farmi troppe domande sulle tecniche di coltivazione. Mi interessavano semmai quelle di produzione e, soprattutto, i piaceri della degustazione.

Poi, una quindicina d’anni fa, ho letto di questo fattaccio della fillossera, dei vani tentativi di salvare le radici delle vigne, e della dolorosa e definitiva scelta di innestare le amate vigne su piede americano, immune a tal piaga.
Avevo anche letto che all’epoca alcuni produttori francesi si disperarono, perchè erano consci che i vini non sarebbero stati più gli stessi.

Stiamo parlando di eventi di fine ottocento, e la cosa più semplice da fare sarebbe quella di infischiarsene.
Del resto io all’epoca non c’ero, e quindi il vino che ho conosciuto, che ho bevuto, che ho apprezzato è quello a partire dalla seconda metà del novecento (avventurarsi nei sentieri di vini ancor più vecchi è quantomento singolare, se non un vero e proprio azzardo), che è quasi tutto a piede americano.
Se penso ai grandi bordolesi, bourgogne, al barolo, al brunello, ai supertuscans…tutti capolavori che son fenomenali così come sono.
Cos’altro importa?

Eppure…
…eppure, da quando ho appreso di questo pasticcio del piede americano, qualcosa in me è scattato.
Volevo sapere come poteva essere un vino a piede franco. Un vino dei nostri bisnonni. Un vino europeo al 100%.
Forse per una ricerca di un sentore ancestrale, forse per semplice curiosità.

Fatto sta che da allora, io, quando trovo un vino da vigne a piede franco lo devo assaggiare.
Anzi, diciamo pure che spendo tempo a sconvarne.

Inziamo perciò ad elencarli, perchè sono rari e difficili da trovare, ma non così tanto come si vuol far credere.
Non sono spariti del tutto. Anzi!

Diciamo che non c’è una letteratura completa, che possa dare indicazioni dettagliate (io, almeno, non la conosco).
I nomi che circolano in rete (e non solo) sono sempre i soliti 5-6 (che a leggere vien tristezza).

Ed invece ce ne sono in giro molti molti di più.

Fabio Ferrara

Il primo vino che voglio elencare, tra quelli a piede franco, è uno tra quelli più conosciuti.
Anche se non è particolarmente costoso. Non ancora, almeno.

Chiaramente non sono questi i motivi per cui apro l’elenco con questo vino, bensì per le dichiarazioni del suo creatore.

Sto parlando di Teobaldo Cappellano (purtroppo scomparso qualche anno fa) e del suo barolo.

Barolo a piede franco e barolo a piede americano, così da poterli confrontare.

Ma a stupire è anche ciò che sosteneva.
Diceva, infatti, che l’innesto su piede americano è incominciato in Europa a partire dal 1850, prima cioè dell’inizio della devastazione dei vigneti da parte della fillossera (1880).

Questa tesi ribalta (o, se preferite, riscrive) tutta la favola (o, se preferite, la storia), affermando che l’innesto è stato la causa della diffusione della fillossera, e non il rimedio. E che tal innesto si fa per questioni di resa.

Qualunque sia la verità, c’è da dire che lui la vigna a piede franco la piantò davvero, accollandosi i relativi rischi.
E ciò quantomeno dimostra il fatto che certe cose le affermava per convinzione, e non per provocazione.

In rete potete trovare diverse interviste rilasciate all’epoca dal personaggio. Vi consiglio di leggerle.

E di gustarvi, se volete, il suo barolo a piede franco, magari a confronto con l’altro a piede americano. Sempre se riuscite a trovarli.

Da citare immediatamente è anche quello che è il più famoso vino del genere:

Bollinger vieilles vignes françaises

Alcune vigne di questa maison indipendente (è tuttora gestita dalla famiglia Bollinger) tanto cara a James Bond, sono sopravvissute alla fillossera, e danno perciò vita a questo champagne.

http://www.champagne-bollinger.com/

HOM_Vieillissement_Fotor

Cave du vin blanc de Morgex e de La Salle

– Valle d’Aosta Blanc de Morgex Rayon
– Chaudelune
– Valle d’Aosta Blanc de Morgex et de la salle Prince
– Valle d’Aosta Blanc de Morgex et de la salle Extrème
– Valle d’Aosta Blanc de Morgex et de la salle

Il Priè Blanc è un vitigno della Valle d’aosta.

La sua caratteristica è quella d’esser coltivato sopra i 900m d’altitudine (e fin oltre i 1200…), cosa che lo rende immune dalla fillossera (che non ama l’alta quota).
Considerato il vitigno più alto d’Europa, da vita alla DOC Valle d’Aosta Blanc de Morgex et de La Salle sia fermo che metodo classico, ma anche ad un Vin de Glace denominato Chaudelune.

http://www.caveduvinblanc.com/

 

Un’altra terra dove sono presenti aziende che commercializzano vino da vigne a piede franco è la Liguria.

In particolare a Soldano (Imperia) ci sono due realtà:

Rossese dolceacqua doc “beragna“ dell’Azienda Agricola Ka*Mancine’
Vigneti risalenti al 1872 allevati ad alberello provenzale. Vinificazione in solo acciaio.

http://www.kamancine.it

 

Rossese Bianco dell’Azienda vitivinicola Tenuta Anfosso
da vigne ultracentenarie (impiantate nel 1880 da GIacomo Anfosso, bisnonno dell’attuale titolare).
Vinificazione solo Acciaio.

Si dice che la fillossera non abbia vita facile col freddo, con la sabbia o coi terreni vicini ai vulcani.

Una delle zone ove si possono trovare molte vigne a piede franco è quella dell’etna.

La prima azienda che voglio presentare si chiama i custodi delle vigne dell’etna e vanta sia la vigna denominata cosentino, con età dichiarata delle viti fino a 150 anni, sia una vigna denominata centenaria, con età dichiarata delle viti fino a 250 anni…

il vino più interessante, dal nostro punto di vista, è l’Aetneus Etna Rosso DOC.
80% di Nerello Mascalese, il resto è Nerello Cappuccio ed Alicante.

Un’altra realtà molto interessante nei pressi dell’etna è l’azienda Pietradolce.

Tra le vigne che hanno ce n’è una denominata Area Barbagalli in Contrada Rampante Solicchiata nel versante Nord Dell’Etna, ad Alberello pre-phylloxera di 80-100 anni di età a quasi 1000 m. di altitudine.

Dalla quale nasce il Vigna Barbagalli, un nerello mascalese in purezza, di grande intensità.

Sempre parlando dell’etna, anche Graci ha un vigneto in Contrada Barbabecchi a Solicchiata, tra i 1000 ed i 1100 m. di altitudine pre filossera impiantato a Nerello Mascalese circa 100 anni fa.

Da questa vigna nasce il quota 1000, un nerello mascalase in purezza

In un discorso associativo nasce il progetto i vigneri (e siamo sempre sull’etna) in cui son comprese anche le vigne cosentino già viste in precedenza.

Questo consorzio unisce diverse realtà, che hanno in comune Salvo Foti, i suoi metodi ed il suo modo di vedere il vino.

Del progetto si può leggere sul sito:
http://www.ivigneri.it
Quel che ci interessa è la Vigna Bosco. Una vigna ultra-centenaria circondata da un bosco di lecci a 1300 m. di altitudine, nel comune di Bronte.
SI dice che Salvo Foti la trovò anni fa per caso, inseguendo alcuni maiali dei Nebrodi che crescono e pasciono in quella zona. I maiali lo condussero a questo vigneto.

Oggi vediamo un vigneto ad alberello etneo (1x1m.) con pali di castagno spaccati a mano, concimato con letame di pecora, lavorato a mano e col supporto di un mulo.

Le uve sono Alicante (parente stretto della Grenache in loco dal 1820), Greganico, Minnella, Minella nera, Coda di volpe e molte altre varietà a bacca rossa e bianca.
Da ciò nasce il Vinudilice, che nasce rosato in vigna, visto che tutte le differenti uve vengono vinificate insieme in tonneaux. Spesso rifermenta in bottiglia e se ne esce spumante…

I Dolomitici – il Ciso
Il Ciso è un vino con una bella storia da raccontare, una storia che viene narrata dai Dolomitici, undici vignaioli trentini che hanno deciso di consociarsi mossi dalla necessità comune, come scritto nel loro manifesto, “di valorizzare l’originalità e la diversità della viticoltura trentina nel rispetto di un’etica produttiva condivisa”.

Il Ciso è il figlio della volontà di salvaguardare una testimonianza importante della storia vitivinicola di questa regione; tutto ha inizio quando i Dolomitici vengono a sapere che un vecchio vigneto di lambrusco a foglia frastagliata – piantato agli inizi del Novecento in Val d’Adige e composto da 727 ceppi franchi di piede – stava per essere espiantato per far posto a nuove vigne di pinot grigio.

Dopo la prima vendemmia il vino è stato dedicato a Narciso, detto Ciso, il contadino che per anni ha accudito questa vigna e vuole essere il simbolo della sapienza contadina, della capacità di saper ascoltare la terra, di accudirla e rispettarla.

Come detto la vigna del Ciso si trova nella bassa Val d’Adige; è circondata da molti altri vigneti, quasi tutti giovani, coltivati in modo convenzionale, con ampio uso di diserbanti, e quasi interamente dedicati al pinot grigio (in una zona dove un tempo regnavano il lambrusco a foglia frastagliata e il marzemino …). La vigna del Ciso la riconosci subito per la sua diversità: nessun diserbo, erba moderatamente alta, presenza di altre colture tra i filari, vecchi ceppi “artistici” per le loro forme contorte, uno spazio dedicato alla coltura di viti da seme, grande presenza di biodiversità.
(dal sito slow food)

guardatevi il filmato:

http://vimeo.com/43459349

Source:

La Finestra sul Mare

 

 

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